È partita la corsa al mutuo a tasso fisso «last minute»

Il mutuo cambia pelle. Da sempre è uno di quei prodotti che offrono agli istituti di credito margini interessanti a fronte di rischi molto contenuti. Soprattutto in mercati come quello italiano in cui l’appeal della proprietà dell’immobile è ancora molto forte a differenza del Nord d’Europa dove l’affitto in pianta stabile viene preso più in considerazione. Negli ultimi tempi, però, molte banche hanno cambiato approccio rispetto al prestito ipotecario: il mutuo sta diventando più un mezzo che un fine.

 

Un mezzo per tenere ancorati nel lungo periodo dei clienti a cui proporre altri prodotti finanziari su cui guadagnare di più (contratti assicurativi, prodotti di risparmio gestito) attraverso logiche di cross selling. Una strategia che emerge in modo lampante osservando le attuali offerte a tasso fisso (che rappresentano oltre il 70% dei mutui erogati/surrogati nel 2017).Gli spread applicati su questi prodotti sono crollati addirittura sotto lo 0,2% mentre nella migliore delle ipotesi quelli sul tasso variabile viaggiano allo 0,95%. Certo, il tasso finale pagato dal mutuatario non è composto solo dallo spread deciso dalla banca. A questo bisogna poi aggiungere l’indice Eurirspari alla durata del mutuo nel caso del tasso fisso e l’Euribor (che dal 2015 è negativo e quindi andrebbe sottratto) sul variabile. Fatte le dovute somme il variabile (in termini di tasso finale) torna ad essere in partenza più competitivo (di circa 100 punti base) rispetto al fisso. Ma la distanza sulle durate brevi (10 anni) - dove il sovrapprezzo dell’Eurirs è minore rispetto all’Euribor - scende a 30 punti base.

 

Come mai in questa fase le banche preferiscono erogare mutui a tasso fisso e per farlo sono disposte a schiacciare gli spread su livelli mai visti? «I mutui a tasso fisso non sono mai stati a livelli così attraenti come in questi ultimi mesi. Questa convenienza può essere parzialmente spiegata da un ritardo di revisione dei tassi finiti di offerta sui mutui a tasso fisso da parte del sistema bancario a valle di un recente aumento dei tassi Eurirs avvenuto da fine 2017 ad oggi. Ma il motivo per cui l’impressione è che le banche da diversi mesi stiano “svendendo” mutui a tasso fisso è da correlarsi a una scelta precisa di investimento della liquidità. I tassi di default della categoria di impieghi mutui a tasso fisso a clientela privata sono a livelli quanto mai contenuti, da tempo prossimi all’1,3% a livello di sistema, e quindi il costo del rischio è molto ridotto. E per investimenti di lunga durata a basso rischio le opzioni di impiego alternative della liquidità non sono numerose».


Un altro motivo per cui alle banche ora “conviene svendere” i fissi è che in questo modo la probabilità che un nuovo mutuatario effettui una surroga (cambi banca) sugli anni futuri è praticamente assente, quindi erogando un mutuo a tasso fisso oggi si riesce a fidelizzare un cliente per 20-30 anni senza dover poi incorrere in eventuali costi o perdite di guadagno correlate a un’estinzione anticipata del mutuo.

 

Tassi fissi intorno all’1-1,5% rappresentano per certi versi una sorta di “saldi di fine Qe”. Le ragioni per cui oggi sono piombati ai minimi sono legate alla politica espansiva adottata dalla Bce dalla primavera del 2015 quando, dopo aver azzerato il costo del denaro, ha aggiunto un’iniezione costante di liquidità sui mercati che ha portato i tassi ai minimi termini. Queste politiche stanno però per giungere al termine. A settembre la Bce dovrebbe terminare gli acquisti di titoli (quantitative easing) e dalla primavera del 2019 dovrebbe alzare i tassi. Il che lascia pensare che sul fronte mutui siamo nel momento più basso della curva dell’offerta. Nei prossimi mesi i tassi proposti potrebbero risalire, un po’ perché gli Eurirs stanno già crescendo (anticipando le prossime mosse della Bce). E un altro po’ perché è francamente difficile ipotizzare che la “svendita” possa continuare a lungo.